La cucina piacentina ha origini antiche, il suo sviluppo è iniziato dalla sua fondazione, in epoca romana, ma ogni accadimento storico ha lasciato qualcosa, ogni popolo confinante o di passaggio è stato artefice di qualche influenza.

La povertà stessa è stato un denominatore di questa cucina eterogenea, perché Piacenza è sempre rimasta una città contadina, dai modi semplici, che si ingegna con quello che ha, ma comunque non rinuncia al gusto, piacere necessario per godersi la vita. Così si è dato vita ai piatti più tipici come i “pisarei e fasò”, per riciclare il pane vecchio e le cotiche del maiale unendole alla sostanziosità dei fagioli. Al cavallo in umido, la “picola”, ricordo di quando la città era sede di accampamenti militari e gli equini erano usati come fonte di proteine o alla bomba di riso, preparata con il piccione ora tanto denigrato ma perfetto sostituto del maiale in tempi non sospetti. Quest’ultimo è sempre stato usato, come in tutte le zone limitrofe, in ogni modo e la creatività ha portato alla nascita di ben tra salumi DOP, che oggi sono l’orgoglio di tutti i cittadini della provincia: la coppa, il salame e la pancetta. Ma non si vive di solo carne, a maggior ragione in tempi di povertà, e di vegetali non ne mancano affatto, dalle cipolle rosse autoctone all’asparago, passando per l’aglio. Oltre ai già citati fagioli, un “must” è poi la verza, utilizzata per una minestra a base di riso e costine, di quale animale è abbastanza pleonastico; il vero protagonista è comunque sempre lui: l’oro rosso, il pomodoro.

Per quanto riguarda i cereali vanno forti i surrogati del pane fatti con cereali minori, come il batarò, preparato mischiando grano e mais, o fritti come la bortellina, che prevede aggiunta di uova o il chisolino, una pasta cresciuta fritta nello strutto. A dimostrazione che siamo pur sempre in Emilia non mancano le paste ripiene all’uovo, che però mantengono interni di base povera. I tipici tortelli con la coda, infatti, sono ripieni di ricotta e spinaci e gli anolini, ora conosciuti per il ripieno di stracotto, in realtà consumato in passato solo nelle classi più abbienti, esistono anche nella versione campagnola della Val d’Arda, ripieni di formaggio. Quale formaggio può mai essere se non il Grana Padano, di cui la città è una delle poche produttrici sotto il Po, il grande fiume che prima di essere così inquinato donava al popolo una preziosa fonte di pesca.

Spostandosi verso le colline preappenniniche diventa zona di vini e la qualità dei prodotti tipici è sicuramente elevata. Ogni vallata ha le sue uve da cui nascono capolavori enologici come il Valnure, il Trebbianino, il Monterosso e la Malvasia, ma non mancano i vini rappresentativi dell’intero territorio: il Gutturnio, ottenuto da Barbera e Bonarda e l’Ortrugo, vitigno tipico a bacca bianca. La chicca finale è data da una delle più piccole DOC d’Italia, quella del Vin santo di Vigoleno, circoscritta al solo comune di appartenenza. Ad accompagnarlo ci pensano i dolci più tradizionali e la torta di cioccolato di Vigolo, insieme alla sbrisolona di mandorle, è la più rappresentativa.